Arte Città Amica
continua a tenere i corsi di:
Disegno, Pittura ad olio, Acquerello, Acrilico, Sbalzo su metallo, Incisione.
E' possibile iscriversi durante tutto il corso dell'anno APERTI A TUTTI .....
Arte Città Amica
si forma nell'anno 2001 su un progetto di Raffaella Spada, in seguito presidente, dal critico d'arte Armando Capri, che ne è stato direttore artistico fino alla morte, sopraggiunta improvvisa nel 2006, e di alcuni artisti tra cui Isidoro Cottino....
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L'arte Australiana e Italiana |
A cura di |
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Danilo Tachino
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Direttore letterario |
Nella serata del 6 marzo i locali dell'associazione si sono arricchiti di un sapore atavico e misterioso.
Un sapore di terre lontane e di tempi lontani.
Difatti alle 18 si è inaugurata la mostra della pittrice aborigena australiana Collette Archer, insieme alla scultrice torinese Franca Baralis.
La serata poi è continuata alle 21 con letture da parte di Mario Parodi, di testi aborigeni ripresi e tramandati dalla tradizione orale.
La Baralis, scultrice torinese che utilizza prevalentemente la ceramica, ha voluto offrire un suo contributo sentendosi molto vicina allo spirito della scuola artistica aborigena di cui la pittrice Collette Archer si è fatta esempio ed interprete tramite le sue opere.
L'antropologo Giancarlo Zazzaro è intervenuto efficacemente nella mostra, spiegando le simbologie profonde, mitologiche ed etniche che sono la base di ogni manifestazione degli Aborigeni australiani, anche nell'Arte intesa come elemento animistico, mitologico, che rappresenta la vita come il sogno, inteso nella sua visione di rappresentazione dell'esistenza come fattualità che segue il corso degli eventi nella logica di un sistema cosmogonico che è nell'essenza della natura sottesa alla realtà delle esperienze dell'uomo primigenio in essa, con essa e per essa.
Giancarlo Zazzaro ha saputo inoltre creare quell'atmosfera atavica inserendovi il suono ancestrale, sacro e misterioso di uno degli strumenti più vicini alla spiritualità degli Aborigeni dell'Australia del Nord: il Didgeridoo, sorta di grosso tronco d'albero di eucalipto, svuotato dalle termiti e poi decorato e suonato come strumento a fiato che si suona usando la tecnica della respirazione circolare o del soffio continuo. Può avere una lunghezza che varia da meno di un metro ai 4 metri ed il suo diametro interno va da un minimo di 3 centimetri all'imboccatura, sino ai 30 cm o più della parte finale. Il suo suono è come un flusso ad onda, cavernoso, cupo e potente, che collega il tutto alle energie primordiali della vita.
Il suo nome non è quello originario dato dagli Aborigeni che lo chiamano a seconda della zona e della tribù, in cinquanta modi diversi. Questo nome è un'interpretazione onomatopeica data dai colonizzatori inglesi sentendo il suono che fuoriusciva da questo particolare strumento.
Una serata veramente magica, che ha portato i visitatori in un mondo ancestrale e profondamente spirituale e onirico. Unica limitazione riscontrata, la presenza di poco pubblico nella seconda parte, quella declamatoria dei testi orali aborigeni, sempre accompagnata dal suono profondo e mistico del Didgeridoo suonato con passione da Giancarlo Zazzaro. Un peccato, perchè proprio nella completa fruizione dei due particolari momenti dedicati agli Aborigeni, si sarebbe appresa appieno la via spirituale , creativa e ispirativa che tiene saldo e presente il segreto di questo popolo che rasenta la sua presenza sin negli ultimi periodi della Preistoria (50.000 anni fa!).
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